Fake news, psicologia oscura e social media: un trio sempre più centrale nella nostra quotidianità digitale. L’ultimo caso del finto video sulla morte del dottor Matteo Bassetti ha riportato sotto i riflettori un fenomeno allarmante quanto affascinante da analizzare. Perché alcune persone sentono il bisogno di creare e diffondere notizie false? Quali meccanismi mentali si attivano? Le risposte risiedono in una miscela di tratti di personalità, dinamiche sociali e gratificazioni immediate che giocano tutte un ruolo decisivo nella diffusione della disinformazione online.
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Chi c’è dietro le fake news? Il profilo psicologico
Spesso a spingere alla condivisione compulsiva di notizie false non è solo disattenzione o ignoranza, ma una vera e propria inclinazione personale. Diversi studi psicologici hanno individuato una correlazione tra questo comportamento e la cosiddetta Triade Oscura della personalità, un insieme di tratti sub-clinici che includono:
- Narcisismo: un bisogno costante di ammirazione e la convinzione di essere superiori
- Machiavellismo: abilità manipolative e tendenza a sfruttare gli altri per i propri scopi
- Psicopatia sub-clinica: freddezza emotiva, impulsività e assenza di empatia
Chi presenta questi tratti tende a vedere le relazioni umane in termini utilitaristici, e questo approccio si riflette anche nelle dinamiche digitali. Per loro, una fake news è uno strumento, non un problema morale.
Dopamina digitale: piacere e manipolazione
La psicologia della diffusione delle fake news è anche una questione di ricompensa immediata. Ogni like, condivisione o commento ricevuto in seguito alla pubblicazione di contenuti virali attiva i circuiti neuronali del piacere, regalando una scarica di dopamina – una vera droga per il nostro cervello. Questo meccanismo, simile a quello che si osserva nei comportamenti compulsivi, rinforza l’abitudine a pubblicare contenuti sensazionalistici, siano essi veri o falsi.
Gli algoritmi sanno dove colpire
I social media non fanno che amplificare queste dinamiche. Gli algoritmi privilegiano i contenuti emozionali, divisivi e polarizzanti, premiando tutto ciò che genera reazioni forti. In questo contesto, le fake news diventano lo strumento perfetto: provocano, dividono, e soprattutto generano traffico. Chi ha tendenze manipolatorie o narcisistiche sa sfruttare queste logiche per ottenere visibilità e attenzione.
Il potere dell’inganno: controllo e superiorità
C’è anche un aspetto legato alla soddisfazione di dominare gli altri. La disinformazione, soprattutto quando sofisticata come un deepfake, può dare a chi la crea l’illusione di avere controllo sulla realtà o sugli altri. Manipolare la percezione collettiva diventa un gioco di potere: chi riesce a dettare la narrazione si sente superiore e dotato di forza intellettuale.
- Sovvertire la verità diventa un modo per affermare sé stessi
- Generare panico o indignazione regala un senso di impatto nella realtà
- L’utilizzo disinvolto della tecnologia alimenta l’idea di essere più furbi o “svegli” degli altri
Echo chambers ed emotività tossica
Le camere dell’eco digitali fanno da cassa di risonanza per tali comportamenti. Sui social ci si ritrova spesso circondati da contenuti che rafforzano le nostre opinioni, eliminando il confronto e accentuando la polarizzazione. In questo ambiente chiuso, le fake news trovano terreno fertile, soprattutto quando fanno leva su emozioni forti come rabbia e paura. Sentimenti negativi che possono essere sfruttati con cinismo: un contenuto che fa arrabbiare crea più interazioni, e quindi, più visibilità.
Le emozioni spingono il tasto “condividi”
Non va trascurato il ruolo chiave delle emozioni nel processo di diffusione. I contenuti falsi che colpiscono nel vivo suscitano reazioni immediate e spingono all’azione impulsiva. La razionalità passa in secondo piano; il bisogno di “dire la propria” o di “denunciare” prende il sopravvento, diventando la miccia perfetta per la viralità.
Difese psicologiche contro la disinformazione
Contrastare questo fenomeno non è semplice, ma possiamo costruire strumenti personali e sociali per ridurne l’impatto. Migliorare la nostra alfabetizzazione mediatica e rafforzare il pensiero critico sono due pilastri essenziali. In particolare, è utile:
- Essere consapevoli dei nostri bias cognitivi e imparare a riconoscerli
- Valutare sempre le fonti in maniera critica, anche quando i contenuti ci piacciono o confermano le nostre idee
- Allenare un’etica della responsabilità digitale, pensando all’impatto delle nostre condivisioni
- Favorire empatia e dialogo, anche (e soprattutto) nelle divergenze d’opinione
Una sfida sociale, non solo individuale
Le fake news non mettono a rischio solo singoli individui, ma l’intero ecosistema della comunicazione pubblica. Quando una notizia falsa colpisce figure pubbliche come Matteo Bassetti, l’effetto si propaga ben oltre il singolo, alimentando sfiducia, confusione e polarizzazione. È un problema culturale e sociale, che mina le basi di una comunicazione sana e democratica.
Serve coscienza, non censura
Per affrontare davvero la disinformazione non basta limitarla tecnicamente: serve capire cosa la alimenta. Comprendere le dinamiche psicologiche che spingono a creare, diffondere e credere alle fake news ci permette di costruire una cittadinanza digitale più consapevole e resistente. Solo così il dibattito pubblico potrà evolvere, superando la logica tossica dello scontro e della manipolazione.